domenica 9 ottobre 2011

Quanto costa laurearsi in Italia

Se l’utilità di una laurea conseguita in una qualsiasi università italiana non è più molto evidente, alla luce dell’attuale mercato del lavoro e del generale scadimento dell’insegnamento universitario, sono tuttavia ancora in molti a considerare prezioso l’ormai decaduto pezzo di carta, il cui valore legale secondo molti andrebbe semplicemente abolito. E tante famiglie sono disposte a sborsare cifre significative, soprattutto per bilanci familiari modesti, pur di spedire i propri pargoli in un ateneo qualsiasi. Spesso la scelta di facoltà e ateneo è dettata proprio da ragioni di ordine economico. Studiare al sud e in una facoltà umanistica è, infatti, più accessibile che decidere di diventare chirurgo a Milano. Le rette universitarie variano, infatti, sia da regione a regione che tra diversi indirizzi universitari, ma anche dalla fascia di reddito. Gli studenti del nord pagano circa il 13% in più rispetto alla media nazionale per la prima fascia e addirittura il 32% in più se si considera l’importo massimo da versare. L’università più cara è Parma (oltre il 70% in più rispetto alle media), seguita dalla Bicocca di Milano; la più economica è l’Aldo Moro di Bari, seguita dall’Alma mater di Bologna. Secondo uno studio condotto da Federconsumatori nel 2010, le tasse universitarie annuali si aggirano intorno ai 1.000 euro con picchi che variano dai 400 agli oltre 2.000 a seconda della regione delle scelte amministrative della struttura. Mentre a Napoli studiare all’Orientale può costare da un minimo di 440,00 euro a un massimo di 910,00, al Politecnico di Milano si pagano anche 1.700 euro. Stesso discorso per chi sceglie di studiare nella Capitale. A Tor Vergata le famiglie in ultima fascia pagano 1.300 euro e la Sapienza non e’ da meno. Pur garantendo il diritto allo studio con una tassa minima di 330 euro annuali, la storica universita’ di Roma arriva a costare anche 2.000 per chi ha un reddito familiare alto. Generalmente sono cinque le fasce di reddito considerate, calcolate considerando dei valori di Isee fissi. la prima fascia considera un reddito sono a seimila euro, la seconda siano a 10mila, la terza sino a 20mila, la quarta sino a 30mila e la quinta il massimo. anche se e’ difficile fare una comparazione in quanto variano da ateneo ad ateneo. La spesa annuale, comunque, cambia non solo in base al reditto ma anche a seconda del tipo di Facolta’: Medicina, Ingegneria, Architettura e Farmacologia risultano essere sicuramente le piu’ care. La speranza di avere un ingegnere in famiglia se costruita alla Federico II di Napoli costa a un padre 1.432 euro l’anno mentre mandare un figlio a Chirurgia alla Bicocca di Milano anche 3.000. E se studiare costa caro, essere studenti fuori sede comporta una spesa aggiuntiva che può arrivare fino a 6.958 euro annui in più rispetto a chi gode del privilegio – tale almeno sotto il profilo economico, se non sempre della qualità dell’insegnamento - di studiare nell’università sotto casa. E le “migrazioni” interne per ragioni di studio sono molto frequenti: in Italia, sempre secondo Federconsumatori, il 20,5% degli studenti universitari, stando ai dati Istat 2009, studia al di fuori della propria regione di residenza. A questi andrebbero aggiunti gli studenti che, all’interno della stessa regione, si spostano in un’altra città. Naturalmente l’affitto è la voce più costosa per uno studente ‘fuori sede’, che, insieme alle spese accessorie (riscaldamento, condominio, energia, ecc.), raggiunge mediamente 4.982 euro annui se sceglie di vivere in singola, e 3.756 euro annui se, invece, sceglie di condividere una stanza con altri studenti. Dividendo l’Italia in Macro-regioni si scopre che è il Centro ad avere le spese per la casa (affitto+mantenimento) più alte, pari a 5.544 euro annui per una stanza singola e 4.194 euro annui per una stanza condivisa. Più economico, invece, risulta il Sud con una spesa pari al 31% in meno rispetto al Centro, per quanto riguarda la stanza doppia e del 34% in meno relativamente alla singola. Di non poco conto risultano anche le spese per i libri, con una differenza tra le facoltà umanistiche e quelle scientifiche: per le prime la spesa ammonta in media a 454 euro annui, il 17% in più rispetto a quelle scientifiche. Da tale studio, quindi, emerge chiaramente che ad orientare lo studente nella scelta dell’università non è solamente la qualità della facoltà prescelta, ma gioca un ruolo fondamentale anche il reddito della propria famiglia. Chi non può permettersi di pagare un affitto extra si accontenterà dell’università più vicina, se ce n’è una. Mandare i figli all’università in Italia è una spesa non indifferente anche per una famiglia benestante. Le nostre Università sono, infatti, tra le più care in Europa. Solo ad Amsterdam le tasse universitarie si avvicinano quelle nostrane: fino a 1.713 euro annuali. Una spesa esorbitante se si pensa che le università svedesi, tra le prime nella classifica mondiale, sono tutte completamente gratuite. E nelle altre capitali europee? La Sorbona di Parigi costa al massimo 500 euro mentre alla Freit Universitat Berlin si superano a malapena i 200 euro annui. Più costosi gli Atenei universitari britannici, per lo più privati, come la University College London costa ad una famiglia 9.000 euro all’anno: soldi ben spesi, però, se si pensa che l’ateneo occupa il 4° posto tra le top 10 mondiali. A differenza degli atenei privati in Italia che, pur costando in media 8.000 euro l’anno, non conquistano posizioni di rilievo nelle classifiche internazionali, salvo alcune eccezioni. Basandosi su un sistema universitario pervalentemente privato, i paesi anglossassoni, per permettere anche alle famiglie meno abbienti di mandare i propri figli all’università, mettono a disposizione dei prestiti finanziari. Il governo britannico paga infatti, agli studenti inglesi e europei che lo richiedono, tutte le rette universitarie previste per una laurea triennale. A differenza di quello che accade in America però, dove gli studenti appena finita l’università devono ripagare il debito, i giovani europei dovranno riconsegnare il denaro solo una volta trovata un’occupazione che possa permetterglielo.

www.figliefamiglia.it

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